01-02-2016 – PROSPETTIVE ITALIANE SULLA LEGALIZZAZIONE DELLA CANAPA
La cannabis ad uso terapeutico, in grado di curare e alleviare i sintomi di numerose malattie neurologiche come l’Alzheimer, il Parkinson e diversi tipi di sclerosi, viene principalmente importata in Italia dall’estero facendo lievitare il prezzo di farmaci usati in campo oncologico. Da quest’anno forse la situazione potrebbe cambiare, grazie alla statalizzazione della coltivazione di marijuana da parte dell’Esercito italiano presso l’Istituto farmaceutico militare di Firenze, in seguito ad un primo via libera dato dai ministeri della Difesa e della Salute. Per ora l’unico stabilimento autorizzato a produrla a scopo farmaceutico è Rovigo.
Nei Paesi Bassi, in Spagna, Canada e in sedici stati degli Stati Uniti l’uso della cannabis a scopo medico è già consentito. In altri Paesi europei ed extraeuropei l’argomento è al centro di accesi dibattiti sia sul piano scientifico che su quello etico. In Italia, approfonditi studi in materia sono stati effettuati dal neuropsichiatra Gian Luigi Gessa e dal dott. Giancarlo Arnao.
In Italia il proibizionismo sulla cannabis ha un costo dato, in maniera approssimativa, dalla somma della spesa pubblica destinata alle attività di repressione e del mancato introito fiscale sulla produzione e sulla vendita. Legalizzare questo mercato, che è il più vasto in termini di consumatori e il meno problematico in termini sociali e sanitari, imponendo una tassazione sufficientemente alta da non promuovere il consumo, ma non troppo da incentivare il ricorso al mercato illegale (come si fa per i tabacchi: circa i tre quarti del prezzo di vendita) vorrebbe dire per lo stato risparmiare sul fronte della repressione riscuotendo entrate oggi interamente assorbite dai profitti criminali. Grandezze molto importanti sia dal punto di vista economico e fiscale.
Gli esempi non mancano. Per il piccolo Colorado (5 milioni di abitanti) la legalizzazione della marijuana avvenuta tra il 2012 e il 2013 ha rappresentato un business di quasi 1 miliardo di dollari sottratto all’economia criminale, con un potenziale di nuovi occupati di circa 10.000 unità (secondo il Marijuana Industry Group statunitense). Lo Stato americano ha ottenuto due milioni di dollari in imposte sulla marijuana acquistata a scopo ricreativo solo nel mese di gennaio, mostrando al mondo gli effetti benefici del business della cannabis; aggiungendo la vendita di quella per uso medico e i pagamenti dei commercianti per ottenere le licenze, si arriva a 3,5 milioni di dollari. Le imposte sulla marijuana sono state votate dagli elettori che hanno deciso che i primi 40 milioni saranno spesi per la scuola. A giugno 2014, dopo 6 mesi dalla legalizzazione della vendita al dettaglio e 18 mesi dalla decriminalizzazione, gli incidenti d’auto non sono aumentati e i reati sono persino diminuiti, secondo la polizia di Denver (non è stata necessariamente la legalizzazione a ridurre il crimine, ma di certo non ne ha prodotto un aumento). L’eliminazione delle pene detentive per i piccoli reati connessi alla marijuana ha fatto risparmiare tra i 12 e i 40 milioni di dollari all’anno, mentre il gettito fiscale della legalizzazione nei primi 6 mesi del 2014 è stato superiore ai 30 milioni di dollari (comprendendo la marijuana per uso medico). Per volontà referendaria, le entrate fiscali saranno destinate al sistema scolastico e alla sensibilizzazione contro l’abuso di stupefacenti.
Per l’Italia, grande dodici volte il Colorado, avremmo numeri maggiori e significativamente positivi per i conti pubblici. Il libro bianco ‘Il mercato delle droghe: dimensione, protagonisti, politiche’, a cura Guido M. Rey, Carla Rossi, Alberto Zuliani ha stimato il fatturato nel 2010 del narcotraffico in Italia in circa 24 miliardi di euro. Le analisi più recenti sul mercato dei soli derivati della cannabis portano a una stima di oltre 7 miliardi di euro annui. È ovvio che questa «ricchezza» non verrebbe creata dal nulla – verrebbe subito contabilizzata nel Pil – ma sarebbe strappata alla criminalità e ricondotta a un regime legale, più compatibile e gestibile in termini politici e sociali. Tanto più che la repressione proibizionista – comunque la si voglia considerare in termini morali o di principio – non dà risultati positivi né sul lato dell’offerta, né su quello della domanda delle sostanze proibite. E non impedisce, ma favorisce l’inquinamento criminale dell’economia legale, attraverso l’utilizzo dei profitti illeciti e dell’enorme potere di controllo politico-territoriale delle narcomafie.
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